30 maggio, Berlino, una tavola rotonda che coinvolge cinquantaquattro partecipanti, sedici nazioni diverse che si confrontano e progettano strategie di azione sul tema dell’inclusione sportiva delle minoranze etniche femminili.
Questo il primo incontro sul tema organizzato dal FARE Network, la più grande rete internazionale di osservazione dei diritti e contro le discriminazioni nel mondo dello sport.

FUORI E DENTRO IL CAMPO

Introduce Aydan Ozoguz, ministro dell’integrazione del governo tedesco. Lei, di origine turca, si prende carico di dipingere il quadro della situazione delle minoranze etniche femminili nello sport; oggi queste minoranze faticano a trovare spazio non solo nel campo da calcio, ma anche nei ruoli decisionali.

Replica Magdalena Spasovska, referente del Together Advancing Common Trust, organo attivo in Macedonia che comunica la percentuale delle donne nei ruoli decisionali del proprio paese: un sonoro 0%.

IN ITALIA

A rappresentare l’Italia sono presenti Irene Pepe per il Balon Mundial di Torino, Irene Caselli giornalista freelance attiva nel progetto A Girl’s Game, Francesca Gargiulo allenatrice AC Milan per Uyolo Fund e Gian Marco Duina per Altropallone e la campagna Altri Mondiali.

La situazione per le atlete femminili in Italia risulta insufficiente e retrograda rispetto agli altri paesi europei: professionismo non riconosciuto a nessun livello, scarsa conoscenza delle problematiche sul tema, scarsa se non assente informazione mediatica; basti pensare che l’Italia è stato l’unico paese europeo in cui non è stata trasmessa la finale della Women Champions League. Questi gli aspetti evidenziati da Gian Marco Duina referente della campagna Altri Mondiali, che si batte per le parità di genere nel mondo dello sport.

RETE

Ci sono delle necissità, che vengono evidenziate, nel diffondere la conoscenza del tema, nel coinvolgere sportivi che scendano in campo in primo piano per portare il messaggio, nel costruire una rete che a livello sovranazionale possa agire contro le discriminazioni e prendersi carico di affrontare e non trascurare le tematiche di pari opportunità nel mondo dello sport.

Nessuno nasce come minoranza etnica, lo si diventa solo quando ci si è costretti da qualcuno” testimonia Vivienne Aiyela, prima direttrice di minoranza etnica del “London FA & The Football Association” che conferma la difficoltà della situazione attuale e la necessità di una rete che si batta attivamente a sostegno delle minoranze etniche.

 

 

Al centro della discussione la necessità di trovare dei “modelli” che possano tramite lo sport infondere fiducia e speranza a chi vive lo sport come strumento di riscatto sociale e personale; il modello dev’essere una persona nella quale sia possibile identificarsi, e ne è un chiaro esempio Shabnam Mobarez, capitano della nazionale di calcio femminile afghana, emigrata in Danimarca insieme alla famiglia all’età di 7 anni. “Sono cresciuta in Danimarca e qui mi sono formata, ma ho deciso di schierarmi con la nazionale di calcio dell’Afghanistan per infondere speranza a tutte coloro che nel mio paese d’origine stanno lottando per sopravvivere alla guerra e alla povertà.”

Le fa eco Ayisat Yusuf-Aromire, ex calciatrice nigeriana e atleta olimpica nel 2008, ribadendo la funzione dello sport come strumento di espressione sociale da parte di chi lo pratica, “Non dobbiamo essere noi a dare voce alle minoranze etniche e alle donne rifugiate o richiedenti asilo, noi dobbiamo solo fornire gli strumenti affinchè esse possano esprimersi da sole.

Coglie l’assist Rimla Akhtar, prima donna musulmana a sedere al tavolo del “Football Association Council”, che non senza emozione dichiara “Non vogliamo che la nostra storia sia anche quella delle nostre figlie, non vogliamo che le prossime generazioni debbano soffrire tutto ciò che abbiamo sofferto noi.”

Per le conclusioni della tavola rotonda ha preso la parola Raluca Negulescu Balaci, che insieme a Piara Power dirige la rete FARE: “L’unico modo per poter muovere un montagna è spostare una roccia una ad una, ed oggi mi sento di dire che un pezzo di roccia l’abbiamo spostata.

Gian Marco Duina